BLOG DEI LUCANI EMIGRATI
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sabato 13 dicembre 2008

Italiani nel mondo.Conferenza dei giovani italiani nel mondo, 10-12 dicembre 2008


Iniziata questa mattina(10.12.2008) alla Camera dei deputati la prima giornata di lavori

Sono intervenuti il ministro degli Esteri Frattini, il presidente della Repubblica Napolitano, dei presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani
Roma 10.12.2008
Nell'aula della Camera dei deputati si è tenuta questa mattina l'inaugurazione del primo convegno dei giovani italiani nel mondo. All'evento hanno partecipato le maggiori cariche dello stato. A rappresentare il Governo ha parlato il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, il quale ha detto nel suo intervento: "Voi tutti sapete che nel mese di luglio scorso abbiamo preso a cuore questa iniziativa che oggi 10 dicembre vede la luce. Data che coincide l'anniversario della nascita della Carta internazionale dei diritti dell'uomo". "Questo convegno - ha continuato Frattini - è la dimostrazione che il governo italiano dà importanza agli italiani all'estero, che vedo hanno una grande voglia d'Italia, di crescere insieme attraverso le varie generazioni". "Vi è una crisi finanziaria globale - ha poi confermato il ministro - a cui i governi del mondo stanno cercando delle risposte. Io non sono pessimista. Molti giovani che lavorano all'estero mi trasmettono un messaggio rassicurante, credono nelle potenzialità del nostro paese. Contiamo di creare un nuovo percorso per le nostre comunità all'estero, e lo vogliamo fare ascoltando, iniziando già da oggi a questa conferenza dei giovani, anche perché la metà degli italiani all'estero è sotto i 35 anni". In conclusione il ministro Frattini, nonostante sia una conferenza dedicata i giovani, tiene a ribadire il contributo degli ‘anziani': "Credo si debba riservare un tributo anche ai meno giovani, i pionieri della collettività italiana nel mondo. Non possiamo cancellare la memoria di questi meno giovani, per riconoscenza. Anche grazie a loro l'Italia è collocata ai vertici del mondo. Ecco perché abbiamo deciso di creare un museo dell'emigrazione italiana che aprirà al Vittoriano il 2 giugno prossimo".


Successivamente è intervenuto in un breve intervento il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: "Bella, importante e utile", così Napolitano ha definito in apertura questa manifestazione. "Parlo a nome di tutti gli italiani: vi sentiamo vicini e contiamo sul vostro attaccamento affinché vi facciate portatori dei valori più alti di umanità e laboriosità che il nostro popolo ha saputo esprimere nella storia". In conclusione Giorgio Napolitano ha esortato i giovani italiani che vengono dal mondo: "Siate buoni cittadini nei paesi che vi ospitano, perché così rendete onore all'Italia. Coltivate la vostra italianità e partecipate a questo convegno in maniera attiva. Infine tornate presto nel nostro e vostro paese".

Poi è stata la volta del presidente della Camera Gianfranco Fini il quale ha ribadito che "questo convegno unisce tutti i giovani italiani all'estero senza distinzione politica. E' stato creato per permettervi di confrontarvi, pensato per ascoltare e proporre idee, per migliorare il vostro e nostro paese. Tutti sappiamo che i giovani sono una risorsa importante per qualsiasi paese". Al centro del discorso di Fini, non ci sono solo i giovani che emigrano oggi, ma anche quelli di seconda, terza generazione: "Le nostre istituzioni politiche devono anche investire sui giovani italiani residenti all'estero, affinché sentano forte il loro legame con la loro patria"."Momento fondamentale - ha ricordato poi - è stata la creazione dei Comites e del Cgie. Recentemente al termine di un lungo processo si è provveduto al cambiamento degli articoli 52-53 della costituzione voluti dall'allora ministro per gli Italiani nel mondo Mirko Tremaglia: questi cambiamenti hanno previsto la possibilità non solo di votare ma di eleggere i 18 rappresentanti italiani all'estero. Ciò ha certificato il più vero ricongiungimento degli italiani all'estero alla madre patria. Ciò significa che anche voi potete e potrete partecipare alla vita decisionale dell'Italia. Voi siete - ha concluso Fini - ambasciatori del nostro paese, ambasciatori che idealmente voi rappresentate".

Infine l'ultimo intervento della mattinata è stato quello del presidente del Senato, Schifani, il quale rivolgendosi ai giovani presenti ha detto: "Del mondo voi siete i cittadini e di questa aspirazione che anima le nostre coscienze, voi, giovani provenienti da tutti i continenti, siete i migliori testimoni. Sappiamo quanto il grande progresso del nostro paese debba ai sacrifici dei vostri padri, quando dovettero emigrare. Ma siamo anche consapevoli e orgogliosi del contributo che la nostra emigrazione ha dato e dà allo sviluppo economico e civile di tanti paese nel mondo. Questo arricchimento reciproco è oggi più che mai una risorsa che va coltivata". Auspicando che dall'esperienza dei giovani si possa imparare qualcosa, Schifani afferma che "come lo sono stati i vostri padri, siete una straordinaria risorsa per il nostro paese". In conclusione "in una rinnovata stagione di riforme istituzionali, dove ci confronteremo sulle forme e le strutture del nostro sistema istituzionale, questo dibattito, ma anche e soprattutto la vostra presenza nell'aula del nostro Parlamento, devono costituire il segno tangibile di un forte impegno a rendere sempre migliore la rappresentanza, a farla più aperta e sensibile alle esigenze del mondo globalizzato. Sono sicuro - e qui Schifani chiude - che anche in questo i vostri lavori produrranno stimoli, suggerimenti e proposte preziose".

Al termine dei saluti istituzionali ai delegati giunti a Roma per partecipare alla Prima Conferenza dei Giovani Italiani nel mondo, poi, i membri del Cgie hanno esposto i loro cartelli di protesta ed hanno manifestato pacificamente di fronte alla sede della Camera dei Deputati. Uno dei promotori della manifestazione, il Consigliere Nardi, ha spiegato le motivazioni della protesta e soprattutto ha sottolineato che ci sono delle categoria maggiormente colpite da questi tagli: "In primis la questione dell'Ici, che ci tocca da vicino perché mina il nostro radicamento con il nostro Paese d'origine. È assurdo che gli italiani che vivono all'estero siano stati esclusi dai benefici per l'esenzione Ici sulla prima casa, che solitamente usiamo quando torniamo per le feste o comunque per mantenere un legame forte con la madrepatria. Poi l'assistenza diretta e indiretta ai meno abbienti, per la quale si può citare l'esempio dell'assegno sociale. Prima della chiamata alle urne l'attuale maggioranza aveva promosso una grande campagna elettorale all'estero incentrata proprio su questo tema. Però, una volta incassato il voto, non solo le pratiche per ottenerlo non sono state facilitate, ma addirittura prima delle ferie sono state inserite delle clausole che ne rendono ancora più difficile l'ottenimento. Infine tagli meno forti, ma altrettanto importanti, riguardano il Comites, l'Intercoimites e la Cgie: non c'è bisogno di una legge ad hoc che ne determini la chiusura. Basta stringere piano piano il bocchettone della bombola dell'ossigeno, e questi organismi moriranno lentamente per mancanza d'aria. In sintesi: chi vive in Italia può accedere a forme di sussidiarietà legate non solo allo Stato centrale. Penso agli enti locali, alle Province, alle Regioni. Per noi, invece, esiste solo il canale del Ministero degli Esteri, e una volta che si stringe quel cordone non abbiamo altre risorse a disposizione".

Passando poi ai reali lavori parlamentari è ripreso nel pomeriggio nell'Aula della Camera l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania nonché misure urgenti di tutela ambientale.

Al Senato, invece, l'Aula è impegnata nell'esame dei disegni di legge finanziaria e bilancio. Come prevede il nuovo calendario dei lavori, le votazioni degli emendamenti si concluderanno - insieme al voto finale - entro la seduta pomeridiana di giovedì 11, per la quale non è previsto orario di chiusura. La votazione della Nota di variazioni al bilancio, le dichiarazioni di voto finali e il voto finale sul disegno di legge di bilancio avranno luogo nella seduta antimeridiana di venerdì 12.

Fonte News ITALIA PRESS

venerdì 12 dicembre 2008

IUniScuola.L’emigrazione lucana prima del fascismo





L’emigrazione aveva rappresentato, prima del Fascismo, il fenomeno che, più di ogni altro, aveva mutato il volto della Basilicata, spopolandola ampiamente e privandola delle sue forze più importanti[1].

Cause molteplici e concomitanti l’avevano fatta nascere e prosperare: dalla miseria di larga parte della popolazione alle condizioni dell’agricoltura, dalla distruzione quasi completa dell’attività di allevamento al disboscamento, dalle pessime condizioni idrogeologiche a quelle igieniche, dalla cattiva amministrazione locale alla pressione fiscale.
I dati sono raccapriccianti: si parte dai 1.102 emigrati del 1876 ai 53.592 di espatriati dal 1882 al 1887. Negli anni successivi la situazione si aggrava sino a toccare, negli anni 1896 – 1903, la cifra di 120.796 espatri, facendo della Basilicata la regione d’Italia più colpita dall’esodo migratorio dopo il Veneto.

In definitiva, tra il 1871 ed il 1911 ben 361.326 lucani lasciano la propria terra per emigrare, con una punta massima di 18.098 emigranti nel 1906. Altri 14.868 partono nel 1912 e l’anno successivo se ne contano 16.156.

Contemporaneamente interi paesi si spopolano e si dimezzano: Pignola passa da 3.600 abitanti del 1881 ai 2.500 del 1901, Laurenzana da 6.200 a 4.000, Calvello da 4.800 a 3.300, Viggiano da 5.400 a 4.200, Brienza da 5.287 a 3.731, Moliterno da 6.983 a 5.408[2]. Anche San Fele, nel circondario di Melfi, è tra i più colpiti: nel 1881 la cittadina conta 9.704 abitanti, nel 1901 ne risultano solo 6.348 e, dopo appena 5 anni, nel 1906 si raggiunge la cifra di 5.482 .

Ed è tutta la regione a spopolarsi a vista d’occhio: nel solo biennio 1899 – 1901 il 6% della popolazione si era trasferita in America ed, in alcuni Comuni, la proporzione dei maschi adulti, rispetto all’intera popolazione, era ridotta ai minimi termini[3].

Tenendo, inoltre, presente che i sociologi nordamericani avevano calcolato in 1.000 dollari (all’epoca pari a 5.340 lire) il valore produttivo apportato da ogni emigrante a beneficio del loro paese, la sola Basilicata avrebbe versato, sino agli inizi del ‘900, in America, il valore di oltre un miliardo di lire. Ed il dato è ancora più rilevante se si tiene, altresì, presente che il territorio della regione equivaleva al 3,13% della superficie del Regno e la popolazione all’1,57%, mentre la cifra degli emigrati lucani nel ventennio 1882 – 1901 raggiunse circa il 9% dell’emigrazione totale.

Particolarmente alto era anche il valore delle rimesse che gli emigranti inviavano in patria, alle proprie famiglie, integrandone il misero reddito.

Secondo i dati contenuti nell’ “Inchiesta sulle condizioni dei contadini in Basilicata e in Calabria”[4], in un solo esercizio, il 1906 – 07, oltre 218 milioni di lire vennero spediti in Italia in vaglia internazionali, dei quali circa la metà provenienti dai soli Stati Uniti, “cioè avviati in massima parte verso l’Italia meridionale e Sicilia”. Inoltre in un solo anno, il 1906, risultavano depositati a risparmio postale, per conto d’italiani all’estero, oltre 52 milioni di lire. Ed infine, nel solo anno 1907, risultavano spediti col vaglia speciale del Banco di Napoli, in servizio emigranti, circa 32 milioni di lire, in massima parte anche per il Sud e per la Sicilia.

Così concludeva l’ “Inchiesta”: “Nell’insieme si ha, nel giro di un anno, sebbene non tra identici termini, un totale risparmio approssimativo di circa 300 milioni. Non arriviamo a dire che tale cifra provenga tutta da risparmi di emigrati, né che rappresenti una media costante, ma, tenuto conto degli altri elementi incontrollabili del risparmio degli emigranti, asseveriamo che la cifra di 500 milioni può rappresentare, con grande approssimazione al vero, il risparmio annuo degli emigranti avviato in Italia, e nella maggior parte prodotto dagli emigrati meridionali. In Basilicata e Calabria entrano ogni anno molti milioni: forse oltre quaranta. L’industria più importante è dunque l’emigrazione.”

Un particolare cenno merita, infine, l’emigrazione femminile che, a differenza di quanto comunemente si pensa, fu piuttosto cospicua ed in continuo aumento, spesso richiamata da quella degli uomini partiti precedentemente. Così nella regione si passò dalle 193 donne emigrate nel 1876 alle 5.565 del 1901[5].

Il continente americano, soprattutto gli Stati Uniti, per la forte richiesta di manodopera non qualificata, rappresenta, dunque, la meta privilegiata dei lucani che lasciano la propria terra in cerca di fortuna, ma anche l’Argentina ed il Brasile con i loro immensi territori ancora non sfruttati vengono raggiunti da molti[6].

Nel solo anno 1900, secondo i dati del Commissariato Generale dell’Emigrazione, su un totale di 10.797 emigranti lucani, ben 4.730 sono diretti verso gli Stati Uniti, 2.924 in Argentina e 2.401 in Brasile[7].

I viaggi, che durano anche 30 – 40 giorni, costano, spesso, la vita a non pochi lucani per le difficilissime condizioni igieniche e di spazio con cui essi avvengono. Molti muoiono per asfissia, avvelenamento, fame o uccisi dalle malattie (malaria, polmonite, scabbia) che imperversano a causa dell’affollamento, della mancanza di igiene e del vitto scadente.

A nulla serve la presenza sulle navi di ben due sanitari, il medico di bordo e quello militare, perché il primo, essendo pagato dalla compagnia di navigazione, non ha alcun interesse a rilevare i problemi, mentre il secondo, per non mettersi in contrasto col collega e per ovvi motivi di convenienza, finisce con l’aderire alla tesi dell’altro.

All’arrivo, per i “birds of passage”(“uccelli di passo”, così erano chiamati dai poliziotti americani i lucani, insieme ai molisani ed ai calabresi) i problemi non erano terminati.

Dopo aver fatto sosta (proprio come uccelli migranti) fra conoscenti, amici o parenti della colonia italiana a New York, coloro che non vi si fermavano proseguivano verso altre mete: Boston, San Francisco, Chicago, o ancora più lontano.

Ma solo dopo aver avuto il proprio cartellino numerato, con il nome, una lettera dell’alfabeto ed una cifra, solo dopo aver sostenuto un “interrogatorio” sulla mancanza di un precedente contratto di lavoro e dopo aver passato le visite mediche, solo allora sulla tessera personale veniva impresso il timbro “admitted” e si poteva iniziare a sperare.

Le difficoltà erano sempre le stesse, innanzitutto quelle di inserimento nelle nuove realtà delle grandi metropoli, tanto diverse dai piccoli paesi di origine, poi i lavori più umili e malpagati, le difficilissime condizioni abitative e sanitarie[8], tutto contribuiva alla selezione dei più forti e dei più motivati.

I più deboli pagavano duramente l’avventura americana, anche dal punto di vista psichico. Si calcola che dal 1888 al 1906, nel solo Stato di New York, vennero ricoverate 97.293 persone nei manicomi ordinari e 2.376 in quelli criminali. Di questi il 45% era straniero: l’1,84% dei pazzi ordinari ed il 7,7% di quelli criminali era di nazionalità italiana[9].

Anche la malattie non risparmiavano i nuovi arrivati, soprattutto la tubercolosi.

Nella parte bassa di New York, la “down town”, vi era una strada, la “Cherry Street”, piena di panni stesi ad asciugare, detta la “via del polmone”. Ma si trattava di un polmone malato perché piena di tisici. I dati, anche qui, sono raccapriccianti: la mortalità dei bambini inferiori ai 15 anni era di 51 ogni 100.000, inferiore solo a quella dei bambini negri, doppia rispetto ai bimbi americani. Gli adulti, quando potevano, tornavano a morire in Italia: la percentuale dei tubercolosi rimpatriati sulla popolazione presente al 1908 in Basilicata era pari al 24 per mille, inferiore solo a quella del 26 per mille dei calabresi[10].

Di qui la nascita delle prime associazioni di mutuo soccorso tra gli emigranti, la conservazione dei costumi e dei valori di provenienza. Di qui le “Little italies”, nate nelle grandi città americane e dove le strade riacquistano le funzioni delle piazze di paese con la vita che scorre insieme al vociare della gente, dove si continuano a festeggiare i Santi Patroni di paesi natii con confraternite organizzate appositamente[11].

New York è indubbiamente la meta preferita, subito dopo viene la Pennsylvania, il New Jersey, il Massachussetts, la California, l’Illinois, la Louisiana, il Connecticut e Rhode Islands.

I nuovi arrivati dalla Basilicata si lanciano spesso in attività ben precise: a New York in lavori di sterro, a Trenton nel New Jersey nel lavoro in fabbriche di fili di ferro (gran parte sono provenienti da San Fele), a Filadelfia e Boston nelle ferrovie e nelle miniere, a New Orleans nell’elettricità (gran parte degli elettricisti lucani sono originari di Maratea), a Chicago e San Francisco nel lavoro in fabbrica.

Ma tutti i lavori sono buoni per sopravvivere e così si diventa straccivendoli, lustrascarpe, spazzini, materassai, gessatori. Anche la donne si danno da fare: sarte, pantalonaie, occhiellaie, domestiche, lavapiatti, stiratrici.

E così inizia la ricerca della fortuna e la scalata dei lucani nella società americana, una storia che non è ancora stata scritta completamente.



(Tratto da: Michele Strazza, Emigrazione e fascismo in Basilicata. Gli emigrati lucani negli Stati Uniti e l’appoggio al fascismo, Tarsia Editore, Melfi 2004)





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[1] Secondo Francesco Saverio Nitti (Inchiesta sulle condizioni dei contadini in Basilicata e in Calabria, in: Scritti sulla questione meridionale, Vol. IV, Laterza Ed., Bari 1968) questo enorme movimento migratorio, che non ebbe precedenti nella storia italiana, costituì la causa modificatrice più profonda dell’assetto economico, morale e sociale del meridione, all’infuori di ogni influenza del Governo e della borghesia.

[2] I dati sono tratti da: Regione Basilicata, Dip.to Programmazione, Compendio Statistico 1996 della Regione Basilicata, Potenza 1996, Popolazione censita in Basilicata per Comune dal 1861 al 1991.

[3] Il problema dello spopolamento della regione e della diminuzione della popolazione maschile è presente anche nel famoso libro di Carlo Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli”(Edizioni Mondadori 1976): “Gagliano ha milleduecento abitanti, in America ci sono duemila gaglianesi. Grassano ne ha cinquemila e numero quasi uguale di grassanesi sono negli Stati Uniti. In paese ci restano più donne che uomini.”L’autore si sofferma anche sugli effetti dell’emigrazione sul tessuto familiare e sociale: “Gli uomini mancano e il paese appartiene alle donne. Una buona parte delle spose hanno il marito in America. Quello scrive il primo anno, scrive anche il secondo, poi non se ne sa più nulla, forse si fa un’altra famiglia laggiù, certo scompare per sempre e non torna più. La moglie lo aspetta il primo anno, lo aspetta il secondo, poi si presenta un’occasione e nasce un bambino. Gran parte dei figli sono illegittimi: l’autorità delle madri è sovrana.”

[4] Francesco Saverio Nitti, Inchiesta sulle condizioni dei contadini in Basilicata e in Calabria, in: Scritti sulla questione meridionale, Vol. IV, Laterza Ed., Bari 1968.

[5] Commissariato Generale dell’Emigrazione, Annuario Statistico dell’emigrazione dal 1876 al 1925, Roma 1926.

[6] Ha scritto Carlo Levi (op. cit.):“L’altro mondo è l’America. (…) Non Roma o Napoli, ma New York sarebbe la vera capitale dei contadini di Lucania, se mai questi uomini senza Stato potessero averne una”.

[7] Commissariato Generale dell’Emigrazione, Annuario Statistico dell’emigrazione dal 1876 al 1925, Roma 1926.

[8] Le difficili condizioni sanitarie di vita degli emigrati erano aggravate da un istituto, “il bordo”, che favoriva l’affollamento abitativo e, perciò, il diffondersi di malattie pericolosissime come la sifilide e la tubercolosi le quali prosperavano in condizioni malsane e promiscue. L’immigrato, infatti, per l’alto costo degli affitti, aveva la possibilità di sub affittare dei posti letto a scapoli o ammogliati con la famiglia rimasta in Italia, chiamati, appunto, “bordanti”. Il loro numero variava da 1 a 15 a casa, non in relazione allo spazio, ma al bisogno di alleggerire il peso del fitto che arrivava a portare via anche il 40% dell’intero salario.

[9] I dati sono riportati in Nino Calice, Le amate sponde, frammenti di una identità regionale, Calice Editori, Rionero 1992.

[10] Ivi. Secondo le notizie riportate dal Calice, nella maggior parte dei casi, la comparsa dei primi sintomi della tubercolosi avveniva dopo 3-6 anni dallo sbarco e colpiva soprattutto le donne e i giovani. La malattia risaliva a condizioni di povertà, di lavori faticosi e protratti per 12 – 14 ore di seguito, di sovraffollamento domestico. La struttura abitativa tipica dei quartieri italiani era, infatti, il “tenement”, edificio di 6 – 7 piani con appartamenti nudi e bui, riscaldati con vecchie stufe a carbone, in condizioni igieniche precarie, con una sola latrina per ogni piano, promiscui e sovraffollati.

[11] Osserva Stefano Luconi (“Buy Italian”. Commercio, consumi e identità italo – americana tra le due guerre, in: “Contemporanea”, Mulino Editrice, anno V, n.3, luglio 2002): “Gli immigrati italiani negli Stati Uniti portarono con sé quel senso campanilistico di appartenenza alla propria regione e alla propria provincia, se non addirittura al proprio villaggio, che derivava dal secolare ritardo nel completamento del processo di unificazione nazionale in Italia. Giunti in America attraverso catene migratorie dietro sollecitazione di parenti e amici che li avevano preceduti, i nuovi arrivati si stabilivano presso questi familiari e conoscenti dando vita a insediamenti basati su legami di villaggio. Le Little Italies delle principali città statunitensi si svilupparono quindi non come comunità nazionali omogenee ma come aggregati di colonie a carattere locale, ciascuna delle quali raccoglieva immigrati provenienti da uno stesso paese o da una medesima provincia. (…) I residenti di ognuna di queste colonie parlavano quasi tutti uno stesso dialetto, quello del loro luogo natale, e acquistavano anche beni di consumo presso empori e negozi di quartiere gestiti dai loro compaesani”.

IUniScuola.Ricordo di Sandro Pertini,una figura indimenticabile nell'immaginario collettivo di tanti italiani.


- Documentario su Pertini dell'ACT MUltimedia
Presentato oggi a Cinecittà Campus nel trentennale della sua elezione alla Presidenza della Repubblica il documentario Mi mancherai. Ricordo di Sandro Pertini.
Ideato in collaborazione tra la scuola di cinema romana ACT Multimedia e l'Associazione Nazionale Sandro Pertini, il documentario è stato realizzato sotto l'alto patronato del Presidente della Repubblica e grazie al contributo della Regione Lazio.
Il docufilm, diretto dal fondatore e presidente dell'Act Vittorio Giacci che ripercorre le tappe salienti della vita del ex Presidente, ha visto la collaborazione alla stesura dei testi di Giuliano Vassalli, Maurizio Degli Innocenti, di Gianni Silci, Monica Mengoni e Stefano Caretti che ne è anche la voce narrante, mentre a Luis Bacalov si devono le musiche.
Il documentario di Giacci, ambientato nella cornice della Fondazione Turati, sede dell'Associazione Nazionale Sandro Pertlni, analizza tutto il lunghissimo percorso politico-culturale, 1896-1990, dell'uomo politico socialista. Dai suoi primi anni di vita nell'Italia monarchica, alla Prima Guerra mondiale e poi il ventennio fascista tra esilio politico, il carcere e la lotta di liberazione partigiana. Passando per l'inizio dell'era repubblicana, la Costituente, il Fronte popolare, i governi democristiani, gli anni del boom e il primo centro-sinistra per concludersi con gli incarichi istituzionali di Presidente della Camera e di Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985. Quest'ultimo è il periodo degli anni di piombo, del terribile terremoto in Irpinia, ma anche della vittoria ai campionati del mondo di calcio di Spagna '82 alla quale Pertini partecipò con entusiasmo.
Ma la pellicola di Giacci è centrata fortemente anche sugli aspetti umani e caratteriali che hanno reso Pertini, una figura indimenticabile nell'immaginario collettivo di tanti italiani.
[di Fe.I] FONTE CINECITTA'.com

martedì 9 dicembre 2008

La strategia della pensione

Il Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese curato dal Censis inquadra l'Italia sotto molti profili, anche se quello economico sociale indica una situazione di profonda ingiustizia, non solo nel mondo del lavoro, delle scarse prospettive aperte da anni di flessibilità, di lavoratori che ormai non si sentono più al sicuro, anche quando ricoprono posizioni di quadri o piccoli dirigenti.

Il Censis scatta una fotografia anche di chi va in pensione, e ne viene fuori un paese che continua ad accettare spaventose ingiustizie sociali anche quando è ora di ritirarsi dal lavoro. Perché in questi anni di tagli alle pensioni, di continui allungamenti dell'età lavorativa e di sempre più pesanti richieste a carico dei dipendenti, si ottiene alla fine un risultato devastante.

Il Censis, infatti, nel suo Rapporto dice che 8 pensioni su 10 in Italia sono al di sotto dei 1.000 euro al mese, come se non bastasse circa la metà non arrivano a superare neanche i 500 euro mensili. Dall'altra i benestanti in pensione, una ricca minoranza (il 3,4%) che incassa oltre 2.000 euro. Ricchezza che si concentra - dice il Censis - per le pensioni oltre i 2.500 euro mensili, che sono a loro volta appena l'1,4% del totale.

Nel Rapporto 2008 il Censis chiarisce: "Risulta che su un totale di 14.194.714 trattamenti una quota pari al 79% è al di sotto dei mille euro mensili. E "le pensioni più ricche, oltre i 2.500 euro al mese, sono circa 205mila".

Il Censis, basandosi sui dati dell'Inps, spiega che a inizio 2008 venivano erogate 1,361 milioni di prestazioni, e che su queste quelle che toccavano i 250 euro al mese erano ben il 9,6% del totale. La grande massa delle pensioni, pari a 4,82 milioni di posizioni, ovvero il 34% del totale, si concentrava tra i 250 ed i 500 euro mensili. A cui si aggiungevano altri 5 milioni di persone che incassavano tra i 500 ed i mille euro mensili (un altro 35,3%).

I più colpiti sono gli autonomi, che nel 90% dei casi devono campare con redditi da pensione sotto ai mille euro, mentre per i lavoratori dipendenti la fascia delle pensioni erogate fino ai mille euro scende al 73%.

Non solo, Censis fa notare che il maggior numero in assoluto di pensioni erogate sono quelle cosiddette di "vecchiaia", pari a 5,6 milioni di prestazioni, che raggiungono appena 955 euro al mese (tra gli ex dipendenti), cifra che crolla a 706 euro mensili per chi è stat lavoratori autonomo. Cosa sono le pensioni di vecchiaia? Semplice, sono le persone che non sono riusciti a mettere assieme gli anni massimi di lavoro (anzianità) ma che sono arrivati al limite massimo di età lavorativa senza avercela fatta a lavorare a sufficienza.

Meccanismo che porta a tagliare ancora di più la rendita pensionistica a loro favore, magari perché disoccupati per periodi della loro vita lavorativa.

CARNE ALLA DIOSSINA, 42 SEQUESTRI IN ITALIA

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Sono 89 le partite di carne suina importate in Italia dall'Irlanda a partire da settembre, da quando cioe' e' scattato l'allarme diossina. Lo ha reso noto il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini, che ha annunciato che 42 di queste partite sono state gia' rintracciate e sequestrate. "Contiamo in brevissimo tempo - ha detto - di trovarle e sequestrarle tutte". "Delle 42 partite di carne sequestrate - ha specificato la Martini - 23 sono state trovate in Lombardia, una in Calabria, una nella Provincia autonoma di Trento, 8 in Emilia Romagna, 6 in Veneto, una rispettivamente in Lazio, Puglia e Basilicata. Tutte rinvenute presso i grossisti, prima del commercio al dettaglio". Infatti, ha spiegato la Martini, "i Nas ieri hanno proseguito i controlli sui supermercati, effettuandone 120 e non reperendo tramite la documentazione degli esercizi stessi carne suina di origine irlandese". Nel frattempo "stiamo intensificando i controlli alle frontiere sulle carni bovine irlandesi, sebbene non ci siano ancora disposizioni in questo senso dall'Unione europea". Il sequestro, ha spiegato il sottosegretario, e' a scopo cautelativo: "L'importante e' bloccarle ed evitare che finiscano sulle tavole degli italiani. Poi valuteremo se e come effettuare le analisi". In ogni caso, nessun rischio per cotechino e zampone natalizio: "Questi prodotti - ha rassicurato la Martini - vengono lavorati diversi mesi prima della commercializzazione, e quelli sul mercato provengono da carni lavorate prima dell'1 settembre, cioe' la data stabilita dall'Unione europea dopo la quale c'e' il rischio di contaminazione". Intanto, appello del Codacons: "Non comprate per le prossime festivita' cotechino e zampone", e' l'invito rivolto ai consumatori italiani. "Il Governo deve muoversi, non c'e' piu' tempo da perdere, e deve emettere un decreto urgente che imponga subito l'etichetta di origine sulle carni suine commercializzate in Italia - afferma il Presidente Codacons, Carlo Rienzi -. In attesa che cio' avvenga, e per tutelare la salute dei cittadini, invitiamo i consumatori a non acquistare nei prossimi giorni di festa cotechini e zamponi in vendita nel nostro paese, e a sostituire tali prodotti con altre carni". Ferma la replica del sottosegretario Martini: "Non condivido questo appello. Questi allarmismi fanno male all'economia italiana". E' dello stesso avviso la Cia, confederazione nazionale agricoltori: "No ad allarmismi ingiustificati che possono provocare dannose psicosi; carne bovina, prosciutti, salumi, zamponi e cotechini venduti in Italia sono sicuri". E i veterinari rassicurano: "Da quello che ci risulta il problema diossina non esiste". Secondo Aldo Grasselli, segretario della Sivemp, "non c'e' alcuna probabilita' che a Natale si trovino in tavola un prodotto contenente diossina".
Fonte AGI

lunedì 8 dicembre 2008

Disoccupazione 2008.IUniScuola :Nun nge só nuvetà mico mije"

MoGIV.Provincia di Potenza:tasso di disoccupazione 2005 12,3



La popolazione residente nella Provincia di Potenza ammonta, al 31 dicembre 2005, a poco più di 390.000 unità. Un valore che rapportato alla dimensione territoriale determina una densità demografica particolarmente bassa (parzialmente spiegabile con l'elevata presenza di zone montuose) e pari a 59,6 abitanti per kmq.
Basso anche il grado di urbanizzazione (17,6%) e il numero di stranieri (776 ogni 100.000 abitanti).
Il tasso di disoccupazione della Provincia di Potenza nel 2005 si attesta al 12,4% (in calo rispetto al 17% del 2001). La distribuzione degli occupati per settore di attività mette in evidenza il forte grado di attrazione che l'industria manifatturiera ha sulla manodopera locale (1/3 degli occupati).
La Provincia di Potenza presenta un'incidenza del proprio valore aggiunto sul totale nazionale di scarsa entità (0,49%), posizionandosi al 64-esimo posto della relativa graduatoria.
Relativamente al numero di imprese registrate nel 2005, la Provincia di Potenza, con poco più di 36.154 unità, occupa in graduatoria una posizione intermedia, collocandosi, più precisamente, al 54-esimo posto. La quota del settore agricolo e di quello del commercio assorbono da soli il 61,8% del totale delle imprese; in particolare, l'agricoltura presenta valori estremamente alti, soprattutto se confrontati con il corrispondente dato italiano (36,8% contro il 18,6%).
Piuttosto modesta è la presenza di attività artigianali (23,1% sul totale delle imprese registrate), che risulta superiore al corrispondente dato relativo al Mezzogiorno (21,9%), ma inferiore a quello medio nazionale (28,6%). Per quanto riguarda gli scambi con l'estero la provincia di Potenza, nell'anno 2005, ha esportato merci per un valore di circa 733 milioni di euro (in calo rispetto al 2004), per il 90,9% con l'Europa ed il 5,5% con l'Asia, risultando la 73-esima provincia italiana nella relativa graduatoria nazionale.
Non adeguata risulta la dotazione di infrastrutture della provincia di Potenza (valori al 2004); l'indice generale, infatti, fatta 100 la media nazionale, è pari a 38,6 (40,1 nel 1991), terzultimo posto in Italia seguita solo da Matera e Nuoro. Secondo Legambiente la Provincia di Potenza occupa il 65° posto fra le 103 province italiane per la qualità della vita; secondo Il Sole 24 Ore al 57°, mentre per Italia Oggi la 78° posizione.
Scheda:
Popolazione Potenza - Italia
Superficie territoriale (Kmq)Potenza 6.548 Italia 301.336
Comuni Potenza 100 Italia 8.101
Popolazione residenti Potenza 390.068 Italia 58.751.711
Stranieri residenti Potenza3.027 Italia 2.670.514
Famiglie Potenza 148.189 Italia 23.600.370
Componenti per famiglia Potenza 2,63 Italia 2,48
Densità di popolazione Potenza 59,5 ab/Kmq Italia 194,98 ab/Kmq
Fonti: Istat 2005 - Istituto Tagliacarne, Roma, 2005

Economia Potenza- Italia
Pil (mln di euro) Potenza 6.176 Italia 1.272.761
Pil pro-capite Potenza 17.339,3 Italia24.152,13
Tasso di disoccupazione Potenza 12,3 Italia 7,72
Numero di imprese Potenza 36.154 Italia 5.118.498
Fonti: Istat 2005- Istituto Tagliacarne, Roma, 2005