di Alessandro Litta Modignani
Il nuovo capitolo della disputa fra mondo ebraico e Vaticano è importante non tanto sotto il profilo religioso – che pure ha una sua rilevanza - quanto per le conseguenze, tutte politiche, della questione. Da un lato persiste il problema, mai completamente risolto, del rapporto fra la Chiesa e il nazismo; da un altro lato, la questione della difesa di Israele dalla minaccia di distruzione da parte araba e islamica.
Che esista, da sempre, un antisemitismo di matrice cristiana, è fuori discussione. Che la Chiesa cattolica ci abbia davvero e definitivamente i conti, invece, è tutt’altro che pacifico. La re-introduzione della Messa in latino, con tanto di preghiera per la conversione dei Giudei; la beatificazione di Papa Pio XII, le cui corresponsabilità con il regime nazista sono state pesantissime; da ultimo la revoca della scomunica ai vescovi lefevriani, fra i quali uno sfacciatamente negazionista: sono tutti gesti apparsi al mondo ebraico come prove evidenti, al limite della provocazione, della volontà vaticana di non voler “pagare dazio” per l’odio antisemita che pure continua a circolare nella cristianità. In altre parole, non è tanto sulla base delle dichiarazioni ufficiali, che si misurano le reali intenzioni della Chiesa cattolica, bensì sull’atteggiamento di sufficienza, per non dire di fastidio, con cui essa pretende di respingere le accuse mosse nei suoi confronti.
Anche la disinvoltura con la quale si è preteso di sorvolare sul caso Williamson, dicendo che le sue teorie non impegnano la Chiesa, è un particolare rivelatore. Infatti è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e bene ha fatto il Rabbinato di Israele a rompere i rapporti con il Vaticano. Ora Benedetto XVI si trova in gravi difficoltà politiche. La sua immagine internazionale ha subito un duro colpo e le reiterate precisazioni non valgono a riparare il danno: la frittata è fatta. Il suo disegno politico di restaurazione tradizionalista e pre-conciliare subirà probabilmente una battuta d’arresto.
Sotto il profilo politico, le conseguenze della rottura potrebbero rivelarsi gravi. Infatti, mentre in Europa continua a scontrarsi con i pregiudizi cristiani, a poca distanza il popolo ebraico resta esposto a ben altri pericoli. Come ricordava ieri Davide Giacalone su queste pagine, la minaccia teologica non risulta precisamente equivalente a quella atomica, perchè Williamson non è Ahmadinejad. Sotto questo aspetto, se i governi occidentali sono colpevoli di lasciare solo Israele e di non impegnarsi abbastanza in sua difesa, come giudicare la politica della Chiesa cattolica ? Se l’Europa è ambigua, cosa dire del Vaticano ? Il comportamento delle gerarchie, in questa circostanza, risulta ancora più colpevole e deplorevole, perché contribuisce a isolare culturalmente e spiritualmente gli ebrei in Europa, mentre Israele è minacciato di distruzione. Dall’attuale disputa, l’opinione pubblica occidentale potrebbe uscire disorientata e ancora più ostile nei confronti dell’unica isola di democrazia di tutto il Medio oriente. In questo caso, ancora una volta, la cristianità si renderebbe responsabile di una grave ingiustizia verso gli ebrei. Questa è l’unica, vera e grande attualità politica della questione ebraica, questo il senso profondo della Giornata della Memoria. Le scuse e i distinguo dei Papi, riferiti al passato, suonano insinceri e servono a poco.
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